
Rimborso addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica non dovuta per gli anni 2010 e 2011
Tag: Circolari, Elettricità
Rimborso addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica non dovuta per gli anni 2010 e 2011
Si informa che, sul tema del rimborso dell’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica di recente emerso alla luce delle due sentenze della Corte di Cassazione (Cass. n. 27101/2019 e Cass n. 27099/2019), Confindustria ha riunito il proprio gruppo di lavoro sulla fiscalità energetica allo scopo di raccogliere le numerose istanze del Sistema, che ha manifestato forti preoccupazioni sul tema. Il gruppo di lavoro ha predisposto una nota per dare evidenza delle maggiori criticità conseguenti alle sentenze, con lo scopo di tutelare i diritti sia dei consumatori finali che dei fornitori, senza generare costi improduttivi ed esorbitanti, ed elaborare una proposta di soluzione condivisa, che è stata sottoposta al Dipartimento delle Finanze del MEF.
Nota Confindustria di approfondimento su addizionali provinciali
Rimandando al testo della nota allegata per tutti dettagli, si riportano di seguito le principali criticità emerse dal confronto e la soluzione proposta:
Criticità
a) L’impostazione riportata nella sentenza comporta un impatto negativo sul sistema industriale ed è causa di profonde iniquità. Innanzitutto va considerato che i consumatori finali potrebbero richiedere ai fornitori di rimborsare l’addizionale provinciale versata a titolo di rivalsa entro il termine di prescrizione decennale (art. 2946 del codice civile) mentre, per i secondi il diritto al rimborso risulta ad oggi già prescritto per gli effetti della decadenza biennale prevista dall’art. 14, c.2 del TUA, a meno di una sentenza di condanna per la ripetizione dell’indebito verso il cliente la quale consentirebbe al fornitore di intraprendere verso l’Amministrazione finanziaria un’azione di recupero entro il termine di decadenza di 90 giorni dal passaggio in giudicato della stessa, ai sensi dell’art. 14, c.4 del TUA.Tale procedimento obbligato genererà un’elevata mole di cause legali che potrebbero richiedere anche la percorrenza dei 3 gradi di giudizio, con conseguente certo intasamento del sistema giudiziario, e grande spreco di tempo e denaro, oltre che una necessaria contrapposizione di imprese (clienti e relativi fornitori) che abitualmente operano in armonia nell’ambito del medesimo sistema industriale.
b) Alcune categorie di consumatori che per il loro assetto produttivo (aziende che auto producono o che utilizzano l’energia elettrica in impieghi soggetti a diversa tassazione, che sono qualificate “officine elettriche”) hanno o hanno avuto un rapporto diretto con l’Amministrazione e non avrebbero dunque il rapporto intermedio con i fornitori. In questi casi non sarebbero applicabili, dunque, le modalità previste dalla sentenza della Cassazione n. 27099 e i predetti soggetti sarebbero impossibilitati ad adire direttamente gli Uffici dell’Amministrazione, per essere decorsi i termini di decadenza (di due anni) per la proposizione delle istanze di rimborso. Non si può peraltro escludere che tali soggetti, tentando una richiesta di rimborso sollevino però la questione di equità di trattamento fino al giudizio in Cassazione e la stessa Cassazione, per evitare che l’aspetto giunga in Corte Costituzionale, integri il precedente giudizio di ottobre equiparando i termini di decadenza per la richiesta di rimborso.
c) Impatto sulle realtà consortili del settore energia. Presenza di numerosi consorzi che sono anche grossisti di energia elettrica. Il consorzio pertanto deve al tempo stesso tutelare le proprie aziende consumatrici consorziate, che avrebbero diritto alla restituzione di quanto indebitamente pagato attraverso le addizionali provinciali, ma al tempo stesso, in quanto grossista di energia elettrica, rivestirebbe il ruolo di fornitore contro il quale l’azienda dovrebbe agire giudizialmente per ottenere il rimborso. Tali situazioni presentano un serio pericolo anche per la solidità economica di tutte le società fornitrici, tra le quali i consorzi, che dovrebbero sostenere esborsi, anche di importi elevati, per rimborsare cifre di cui non hanno più disponibilità, avendole versate a suo tempo all’Amministrazione e trovandosi successivamente costretti ad affrontare i problemi di recupero sopra riportati.
Proposte
1) Considerare l’opportunità di un intervento legislativo urgente che attribuisca al cliente finale che ha versato il tributo indebito, in qualità di soggetto obbligato o a seguito di rivalsa del proprio fornitore, la legittimazione ad agire verso l’Amministrazione finanziaria, con la possibilità quindi di proporre istanza di rimborso delle sole addizionali provinciali pagate per l’anno 2010 e 2011 direttamente all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, evitando migliaia di azioni giudiziarie, in questo caso superflue.
2) Per il recupero delle somme da rimborsare, evitando un impatto significativo sul bilancio pubblico che discenderebbe dall’erogazione in denaro delle addizionali in unica soluzione, potrebbe essere prevista, come avviene in altri casi, l’attribuzione di un corrispondente credito d’imposta, spalmato in più anni.
3) Infine, onde evitare disparità di trattamento tra i consumatori finali, la possibilità di richiedere la restituzione di quanto indebitamente pagato nel termine di 10 anni andrebbe confermata anche per i consumatori finali che sono Soggetti obbligati (ad esempio imprese che auto producono, che hanno particolari forme di tassazione come le aziende mineralogiche e metallurgiche, etc).
Nota risultanze incontro MEF
Nella giornata di ieri (4 febbraio) Confindustria ha avuto un incontro con i rappresentanti del Dipartimento delle Finanze del MEF, i cui esiti sono riportati nella nota allegata (a cui si rimanda per una più dettagliata analisi).
In sintesi, dall’incontro è emersa una indisponibilità del MEF ad agire mediante interventi interpretativi della sentenza che in qualche modo vengano incontro alle proposte presentate da Confindustria. Più nello specifico dall’incontro è emerso quanto segue:
a) è escluso da parte del MEF il ricorso a un qualsivoglia intervento interpretativo che possa prevedere un rapporto diretto tra il consumatore e l’Amministrazione finanziaria, in quanto tale previsione sarebbe contraria all’impostazione che vede i tre soggetti (consumatore, fornitore ed Amministrazione) legati da due distinte tipologie di rapporto: i primi due legati da un rapporto civilistico e i secondi due da un rapporto di natura tributaria.
b) Per quanto riguarda quelle categorie di consumatori che per il loro assetto produttivo hanno un rapporto diretto con l’Amministrazione (aziende che auto producono o che utilizzano l’energia elettrica in impieghi soggetti a diversa tassazione, che sono qualificate “officine elettriche”), il MEF ritiene che la normativa sia chiara nello stabilire che il diritto al rimborso è definitivamente prescritto ai sensi del comma 2 art. 14 del TUA, vale a dire decorso il termine di due anni. Resta, ovviamente, nelle possibilità di tali tipologie di consumatori quella di sollevare la questione di equità di trattamento fino al giudizio in Cassazione e in fase ulteriore alla Corte Costituzionale. Tuttavia, sempre secondo il MEF, sulla questione di sostanziale mancanza di equità di trattamento che si verrebbe a creare, prevarrebbe il principio di certezza del diritto che deriva proprio dai termini di prescrizione e dal loro perentorio rispetto.
c) il MEF ha sottolineato, infine, come l’Amministrazione dovrà prestare forte attenzione nella restituzione poiché intanto una parte delle addizionali sono state destinate alle Province. In secondo luogo, in ossequio del principio dell’indebito arricchimento, l’Amministrazione medesima dovrà conteggiare esattamente quale parte dell’addizionale i fornitori hanno portato in detrazione e che quindi non potrà costituire, per il principio suddetto, oggetto di rimborso.
d) in sintesi l’Amministrazione fa affidamento su quante delle possibili richieste di restituzione da parte dei clienti proseguiranno nei tre gradi di giudizio e quante richieste di rimborso arriveranno poi dai fornitori “soccombenti”. Allo stato dell’arte, dunque, non si prospettano alternative all’iter che vedrà in una prima fase i consumatori decidere autonomamente se intraprendere, nei confronti dei fornitori, il lungo percorso per ottenere la restituzione dell’addizionale dopo i tre gradi di giudizio e, in seconda battuta, i fornitori risultati soccombenti rivolgere richiesta di rimborso all’Amministrazione, entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.
Sulla base di quanto sopra sintetizzato, e riportato più nello specifico nei documenti allegati, si suggerisce di contattare i propri legali di rifermento per valutare le azioni conseguenti anche solo nei termini di comunicazione del blocco dei termini della prescrizione.
Contatti
Ulteriori informazioni possono essere richieste a:
Matteo De Simone
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